Sfera 9.0 | Sfera 7.0installazioni per la città di Gaeta
Simone Lingua, Sfera 9.0 e Sfera 7.0, acciaio SuperMirror e acqua, Gaeta, 2022.
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In dissolvenza
| appunti critici |
Accedendo all’hangar dove è in corso la messa appunto dell’opera di Simone Lingua, Sfera 9.0, mi trovo per la prima volta di fronte alla materializzazione di un’installazione studiata su disegni e render, nonché a lungo immaginata attraverso le parole dell’artista. Una sfera di 90 cm di diametro, composta da 26 lamine di acciaio, fluttua davanti ai miei occhi, in sospensione tra mimesis del reale e illusorio annullamento graduale della sua stessa entità.
Prendono origine da tale assunto le Sfere 9.0 e 7.0, opere realizzate per la città di Gaeta e più in particolare per le fontane situate in prossimità del lungomare che costeggia la spiaggia di Serapo. Gaeta è un luogo che appartiene alla biografia recente di Lingua: l’artista è nato a Cuneo nel 1981 e dalla fine degli anni Novanta ha scelto la Toscana come residenza. Tuttavia, egli non ama restare per molto tempo in uno stesso punto, consapevole forse che la sua visione creativa si nutre fortemente di dinamismo. Un viaggio inarrestabile il suo, mentale oltre che fisico, che trova traduzione sul piano creativo in infinite variazioni di forme e volumi.
La Riviera di Ulisse è una terra abbracciata dall’acqua e permeata da una luce magica, pulviscolare e vibrante: una realtà che ha affascinato Lingua nel corso degli anni. Ed è proprio inerente alla natura e alle sue declinazioni, il presupposto da cui muove questa creazione. Natura intesa come forza generatrice e propulsiva, capace di animare queste sculto-installazioni: opere site-specific, aniconiche e di matrice astratto-geometrica, cinetiche e optical, pensate e create per instaurare un dialogo aperto con l’ambiente, assunto, al pari del riguardante, a componente intima e costitutiva dell’opera. Una dinamica in ordine alla quale l’intervento installativo trasforma in chiave percettiva lo spazio abitato e quest’ultimo giunge, insieme ai suoi attori, a penetrare la dimensione artistica, generando un flusso di dissolvenze incrociate tra la sfera della vita e quella dell’arte.
Fulcro dell’installazione è una sfera costruita mediante intersezione geometrica di piani: creazione che, se ascritta al corpus dell’artista, costituisce l’anima della sua più importante ideazione cinetica, il Cubo (2016), e allo stesso tempo rappresenta una forma già estrapolata nell’ambito del design di gioielli (Klinve, The Soul, 2019). Le due sfere in acciaio, rispettivamente di 90 e 70 cm di diametro, in linea d’aria seguono una disposizione che – come mi fa notare SL – disegna una connessione ideale tra due punti collocati su rette parallele. I medesimi volumi si levano su cupole non immediatamente visibili in quanto celate dall’acqua; quest’ultima sgorga da un’intercapedine compresa tra due le concavità, per riversarsi all’interno di sottostanti vasche circolari, la cui superficie interna è avvolta da una vernice di colore grigio scuro. Un dettaglio questo tutt’altro che marginale, bensì afferente alla ricerca di una resa potenziata di riflessione e proiezione illusoria dell’opera.
Con questo lavoro, per la prima volta, SL trasla il concetto che maggiormente ha segnato la sua ricerca, ossia la dissolvenza della materia e delle forme nello spazio, modulandolo su di un materiale caratteristico della sua produzione, ma inedito per tale applicazione: l’acciaio SuperMirror. Questa speciale lega rappresenta molto bene il connubio tra estetica ed etica: lucente, prezioso, ricercato e al contempo resistente, durevole, incorruttibile. Per suddette ragioni il creativo in passato ha scelto spesso l’acciaio SuperMirror, che in questa circostanza trova nuova coniugazione, legandosi ad un principio fino ad oggi sperimentato solo sul plexiglass.
Iscritto nella stessa denominazione tecnica del materiale vi è poi il rimando ad un oggetto chiave per comprendere le visioni portate avanti dall’artista negli ultimi anni: lo specchio. Inteso come luogo di rifrazione del mondo e, in parallelo, di superamento della realtà concreta e tangibile – sia essa rappresentata da un monumento (Contemporary Illusions, 2018-2020) o da una cupola abitata da un icosaedro in vetro soffiato (Sotiria, 2021) – lo specchio finisce così per attraversare continue mutazioni, arrivando ad annullarsi e a fondersi con il contesto.
Oltre lo specchio, l’acqua. Elemento soventemente incluso nelle macchine sceniche di Lingua – ora come tappeto permeabile (Ninfea, Bagno Vignoni, 2018), ora come continuum formale ed empatico (The Bridge, 2018), ora come doppio speculare e fluido (The Hole, 2019) – l’acqua, per le sue intrinseche peculiarità, oltre che per la simbologia, viene a rappresentare un ideale complemento armonico, prima attraverso immagini mentali e poi sulla carta.
Tuttavia, in questa ricerca, fatta di analisi e tecnica, tra studi, sperimentazioni, materiali e strumenti meccanici e industriali, è sempre il fattore umano incipit e fine dell’iter creativo: a muovere il tutto è il riguardante, da quello che attiene alla genesi ed evoluzione dell’opera fino alla fruizione. Non solo lo spettatore imprime vita alle opere mediante il suo stesso movimento, ma è la consapevolezza e l’analisi sul piano ottico, percettivo ed emotivo del potenziale pubblico a innescare, determinare e definire l’ideazione e la costruzione dell’opera.
In verità l’artista non si limita a mostrare la relatività dei confini tra realtà e illusione, ma suggerisce, esorta e invita, in questo tempo più che in passato, a non fermarsi a ciò che ci viene mostrato, a quello che vediamo, ma ad osservare la vita in cui siamo immersi attraverso filtri che ne consentano l’interpretazione oggettiva, mediante un superamento di sovrastrutture precostituite e introiettate nel corso dell’esistenza.
Tiziana Tommei